Carissimi colleghi,
ringrazio anzitutto il Comitato organizzatore di questo Congresso, e fra tutti il mio Maestro Eduardo Grecco, per avermi dato l’opportunità di partecipare a questo Congresso, in un Paese di gente straordinaria !
Sappiamo tutti che Cuba, per quanto concerne l’approccio alla Salute pubblica, rivolge particolare attenzione anche ai metodi di cura naturali ed alternativi.
Ho quindi l’opportunità di condividere con voi alcuni principi che ritengo estremamente coerenti col tipo di vita e di lavoro che abbiamo scelto di svolgere. E in questo contesto il mio compito è facile, infatti chi decide di dedicarsi alla Floriterapia è già in qualche modo predisposto a quello spirito compassionevole ed empatico che permette veramente di accogliere con piena libertà interiore quanti si rivolgono a noi per ricevere un aiuto.
In genere, i terapeuti che lavorano nell’ambito delle Medicine non-convenzionali, ma che preferisco piuttosto chiamare Medicine della Natura, hanno la buona sorte di avere un terreno predisposto, una sorta di laboratorio interiore che è del tutto paragonabile a quella situazione psico-fisiologica che doveva essere la prerogativa indispensabile degli antichi Alchimisti.
L’Alchimista, in realtà, è un ricercatore d’Infinito che si accosta alla materia in maniera differente rispetto allo scienziato, cioè cerca all’interno stesso della materia quella scintilla di Divino in modo quasi parossistico, ma con l’attitudine di un’anima amante volta a conoscere l’Infinito. L’Alchimia presupponeva una lenta trasformazione, era intesa come un modo per entrare profondamente nell’originale ed autentico dell’uomo e, attraverso quelle che sono le fasi più concrete dell’Alchimia, per cercare di affrontarne i bisogni più sostanziali.
Sappiamo però che, con il procedere del pensiero e della metodologia scientifica degli ultimi due secoli, si è verificato un progressivo allontanamento da questa visione olistica e si tende, nell’ambito della cura, a volere dare importanza, troppa importanza, agli aspetti materiali della nostra struttura, fino al paradosso della ricerca contemporanea che vuole mettere a tacere anche i disturbi della nostra mente e del nostro cuore con delle sostanza chimiche, dimenticando sempre di più qual’ è l’essenza della Natura umana. Ma questo è il metodo scientifico oggi presente nel mondo contemporaneo.
Tuttavia per essere dei bravi terapeuti dobbiamo fare in modo che la voce della nostra interiorità sia sempre presente e attenta. Ritengo che, per quanto ci concerne, due sono le grandi personalità che rappresentano il punto di congiunzione fra questi mondi apparentemente opposti: Samuel Hahnemann ed Edward Bach.
E, nel periodo storico attuale, la presenza di Sri AmmaBhagavan - e del dono del Diksha - come fattore di profonda integrazione e rapida crescita di quell’espansione della consapevolezza che, al di là di ogni ipertrofia dell’Ego, è il requisito fondamentale perché si possa parlare del Terapeuta nel senso più alto che vogliamo dare a questa espressione.
L’attenzione della mia relazione sarà rivolta a presentarvi il fenomeno spirituale del Diksha, che si è sviluppato a macchia d’olio in quasi tutti i Paesi nei vari continenti, e di cui cercherò di trasmettere lo straordinario valore, dato che, per vie solo apparentemente diverse, mostra unione e chiaro collegamento con i principi medici e spirituali di Hahnemann e Bach.
Dedicherò ora qualche minuto a questi due Maestri che hanno illuminato con i loro scritti le nostre anime, per condurvi più coerentemente con quanto sto per spiegare riguardo a questo e vero proprio viaggio nella coscienza.
Samuele Hahnemann, illuminato medico – nel cuore e nella mente – dopo molta fatica e gravi sofferenze patite durante la ricerca dell’eziopatologia e della terapia del singolo malato, ebbe il privilegio di scoprire la verità che lo condusse a comprendere meglio il composito umano, ossia l’uomo nella sua interezza di anima unita al corpo, l’uno indissolubilmente legato all’altra.
La dottrina omeopatica – intoccabile nei principi medici, diagnostici e terapeutici, e da lui ideata e sperimentata per molti anni – si basa sulla legge divina della similitudine.
Hahnemann non tradì mai la sua nobile missione di medico puro, perché comprese e studiò sempre l’uomo come unione misteriosa di spirito, mente, e corpo, da cui sorge la persona umana nella sua individualità irripetibile. Già basterebbe questo merito per considerarlo fra gli uomini più geniali del suo tempo.
Samuele Hahnemann, ben consapevole delle sue certezze, parlando della Omeopatia, nel 1810 scriveva: “… quando si tratta di un’arte che salva la vita, non volerla apprendere è un delitto”. E successivamente, nella prefazione del suo testo intitolato Organon dell’Arte di Guarire, afferma che “… solo l’uomo senza pregiudizi, armato d’uno zelo intrepido, può diventare atto ad una tale vocazione, la più sacra fra tutte, per esercitare l’arte del guarire. Il maestro di una tale arte, aiutando le creature dell’Onnipotente a conservare la salute e la vita, confina quasi con la divinità, avvicinandosi così al Creatore supremo la cui benedizione, avendo il medico compiuto il suo dovere, rende il suo cuore tre volte felice”.
Come vedete, cari colleghi, il raggiungimento di adeguata statura e di stabilità interiore sono gli aspetti indispensabili per potersi vestire del ruolo di terapeuta.
Hahnemann, come altri che sono riusciti ad emergere dalla povertà della loro condizione socio-familiare (era figlio di un artigiano vasaio), ha puntato tutto sulla sua volontà, determinatezza, spirito di sacrificio e capacità di rinuncia, unitamente a molte altre facoltà di cui era dotato: intelligenza, scienza, memoria, altruismo, correttezza, il tutto unito a profonda bontà e compassione.
In genere, partendo da queste premesse, la persona diviene preda dell’orgoglio e dell’autoaffermazione di sé, vizi che ostacolano la crescita interiore, ma Hahnemann ha combattuto contro queste tentazioni distruttive e, come ha lasciato scritto, “grazie ad un intervento straordinario di Dio”, ha trovato il coraggio per svuotarsi di sé.
È egli stesso che ce lo dice: “Ho semplicemente messo in luce una parte infinitesimale dell’oro che Dio ha sparso fra noi con Verità. Io non potevo vedere nulla, perché l’orgoglio mi accecava, ma Dio mi ha preso per mano e mi ha condotto dove giace il filone, ordinandomi di vangare il terreno. Non ho dunque fatto altro che obbedirGli”.
Ecco la sua vera grandezza di scienziato e di uomo.
Hahnemann, che era nato a Meissen in Sassonia nel 1755, muore serenamente a Parigi all’alba del 2 luglio del 1843. Le sue ultime parole, pronunciate due volte, sono state: “Fiducia e Pace”.
Egli quindi riassume nell’epoca moderna quello che tante volte era già stato espresso nell’antichità.
Infatti nell’antico Egitto, in Tibet, in India e nella Grecia antica numerosi documenti testimoniano come sia la malattia che la guarigione erano viste in termini spiccatamente spirituali: nell’antichità si riteneva che la guarigione fosse un fenomeno di origina divina, affidato agli umani prescelti come tramite e, molto più tardi, al “guaritore”.
Leggendo attentamente gli scritti di Hahnemann possiamo accogliere il suo insegnamento, ossia come svolgere la nostra funzione di terapeuti che non si limitano all’incontro col paziente, ma che progressivamente debbono investire con la nostra vita e con le nostre relazioni.
Comprendiamo così che la missione del medico dev’ essere vista come un apostolato di amore. È l’amore infatti che dà senso all’ essere medico: è ciò che il medico esprime di personale, di autenticamente umano nella sua pratica quotidiana e che va al di là, trascende dalla natura tecnica della sua professione. E comprendiamo la convinzione di Hahnemann secondo cui le medicine non potrebbero guarire le malattie in nessun modo se non possedessero la forza di modificare lo stato dell’uomo nei suoi sentimenti ed attività, anzi in questa proprietà è riposta la loro forza di guarigione.
Le malattie dello spirito e della mente non costituiscono una classe separata dalle altre malattie, poiché in ognuna delle malattie dell’organismo, chiamate fisiche, vi è sempre un’alterazione dello spirito e della mente. In ogni stato di malattia lo stato dell’animo costituisce uno dei sintomi più importanti. La mente e l’anima, due elementi che sono stati basilari e che ritroviamo come punti cardine della Terapia Floreale di Edward Bach.
Ma insieme a questi, la Vita Interiore, quella che solo può condurci verso la piena apertura di un livello di salute fisica e psicologica a cui dobbiamo tendere. Hahnemann nel 1813 scriveva in una lettera indirizzata al Dott. Stapf di Lipsia: “Così in questo tempo pieno d’emozioni io mi sono creato una vita interiore come occorre per la nostra esistenza nell’eternità, e per il nostro futuro passaggio alla vita della perfezione“.
Edward Bach, che dopo la facoltà di medicina aveva approfondito gli studi di omeopatia, segue le orme di Samuel Hahnemann, e nella Conferenza che tenne nel 1931 si mise in linea con i suoi insegnamenti spingendo i medici che lo seguivano a continuare le ricerche volte a curare l’uomo interiore, cioè a considerare come obiettivo l’armonia della natura spirituale e mentale della persona.
Bach insiste e accentua il concetto già espresso da Hahnemann che la salute, come la vita, è di Dio e di Dio solo; i Rimedi Floreali saranno per lui semplicemente strumenti e agenti nel piano divino per aiutare a riportare chi soffre al sentiero della legge divina. L’azione dei Fiori, scrive, è quella di risvegliare le nostre vibrazioni e di aprire i nostri canali per ricevere il nostro sé spirituale, perché essi sono in grado di avvicinarci alla nostra anima.
E così l’Anima diventa centrale nella vita di Edward Bach, diventa il vero Io dell’essere umano, una sostanza divina e potente, generata dal Creatore di tutte le cose.
A distanza di tanto tempo, ed arriviamo ai nostri giorni, è attiva nel sud dell’India una Università, una speciale Università, dove persone provenienti da tutto il mondo intraprendono un percorso spirituale e di vita i cui insegnamenti si fondono incredibilmente con quelli che furono di Hahnemann e Bach.
Il Movimento della Oneness, così si chiama, ha avuto origine negli anni novanta e coinvolge già decine di milioni di persone. Si rivolge a tutti, a prescindere da qualsiasi distinzione di razza, credo, nazionalità, ed intende proporre un messaggio di unità e di amore, con la possibilità di attuare una profonda trasformazione spirituale, partendo dalla constatazione che siamo tutti espressione di un’unica coscienza.
Il Movimento è stato fondato da Sri Amma e Sri Bhagavan, riconosciuti come “Avatar” del risveglio di coscienza. Avatar è un termine tradizionale indiano che può essere tradotto con “manifestazione”, e riferito ad un essere umano indica che è un maestro, una persona particolarmente ispirata e dotata in un certo campo. Sotto questo punto di vista si può dire che Francesco d’Assisi è stato un avatar dell’amore universale, Socrate della conoscenza di sé, Mozart lo è stato della musica, Dante della poesia, Einstein della fisica.
Il fenomeno che ruota attorno a questa dimensione, e che conduce in India sempre più gente, è un’Energia spirituale chiamata Diksha, un’energia che si è rivelata trasmissibile ad altri. Il termine sanscrito significa “iniziazione”, “benedizione”, “grazia”.
E in questa sede, cari colleghi, vorrei presentarvi il Diksha come uno strumento capace di metterci in contatto con il Divino, nel senso più ampio del termine.
Ciò che negli anni di lavoro e di studio avevo appreso dagli insegnamenti di Edward Bach, lo sperimentai totalmente durante un corso di 21 giorni nella loro sede nell’India del sud, vicino a Madras. A prescindere da quanto ognuno di noi avesse già lavorato su di sé a livello psicologico e spirituale, l’energia del Diksha operava in ciascuno secondo il suo percorso e a secondo della sua “apertura”.
Ogni pagina importante che Bach ci ha trasmesso era là riportata nelle ore di insegnamento, accompagnate da pratiche di meditazione. Tramite queste, Sri Bhagavan incarna pienamente le teorie espresse da Hahnemann e Bach, offrendo un ulteriore sostegno energetico e reale, per far sì che l’umanità possa risollevarsi dalla sofferenza dell’Anima, superare quel senso di separazione e riattivare dentro di sé il senso dell’Unità.
Vi chiederete allora cosa ci sia di innovativo negli insegnamenti di Bhagavan se questi rispecchiano quel percorso spirituale che già Edward Bach ci ha presentato come fondamentale per la nostra crescita personale e per aiutare gli altri con le Essenze Floreali.
Ebbene, la straordinaria esperienza, che come persona e come terapeuta ho vissuto in India partecipando al primo dei tanti corsi, è aver potuto sperimentare il Divino, quel Divino che è in ognuno di noi e che così appassionatamente avevo letto negli scritti di Bach. Sperimentare direttamente l’affermazione che tutti abbiamo in noi una parte divina, anche chi non vuole credere, non percepisce o non riesce a sentirla.
Ho visto in me e in centinaia di persone durante questi corsi presso la Oneness University la capacità e la reale possibilità, grazie al fenomeno del Diksha, di essere in contatto con il Divino nel senso più ampio del termine: con il tutto, con l’universo, con l’esistenza.
La mia esperienza indiana anni fa è stata intensa, e rivelatrice di quel mondo interiore e, giorno dopo giorno, “protetta” e avvolta da un’energia di Luce e aperta a sperimentare con il cuore tali eventi, la mia mente, il mio corpo fisico e il Sé diventarono un tutt’uno. Il quotidiano contatto con le guide spirituali e il Diksha da loro trasmesso mise in moto emozioni così totalizzanti, rendendomi testimone di un’espansione della coscienza nella quale ero avvolta e che contemporaneamente vedevo dal di fuori.
Durante un personale incontro del gruppo italiano con Sri Amma, fui colpita da un dolore intensissimo all’altezza del cuore, come se un pugnale mi stesse passando da parte a parte; si fermò il respiro tanto fu forte. Quando tornai a Roma e vidi ridotto un versamento pericardico curato senza successo con il cortisone, e sparita miracolosamente la sindrome fibromialgica di cui soffrivo da oltre quattro anni, tutto mi fu chiaro. In qualche maniera il Diksha aveva operato sul mio corpo e sulla mente, permettendo alla guarigione di trovare una via spirituale.
Se siamo qui riuniti a scambiarci soluzioni terapeutiche e a confrontarci per andare avanti nel nostro lavoro, che è quello di aiutare e servire gli altri, diamo per scontato il fatto che siamo convinti della natura e della potenza della mente sul nostro corpo, ma credetemi, verificarlo “sul campo” è stato qualcosa di più di una guarigione; è stata una trasformazione a livello della coscienza, un cambiamento nella consapevolezza. Il Diksha ha il potere di ristrutturare la nostra mente, e come diretta conseguenza in poco tempo possono accadere anche quegli speciali cambiamenti fisici di cui sono stata testimone.
Devo ringraziare i miei colleghi Luis Jiménez ed Eduardo Grecco che anni fa mi diedero la possibilità, in precedenti Congressi di Floriterapia, di raccontare più in dettaglio il mio viaggio, perché era molto importante per me trasmettere ai floriterapeuti l’esperienza che cominciai a fare con i pazienti. Infatti avevo anch’io ricevuto la possibilità, tornata a casa, di trasferire l’energia del Diksha.
I risultati erano interessanti, e questa energia intelligente operava come un acceleratore nella guarigione fisica, emozionale e spirituale della persona.
I terapeuti spagnoli accolsero il mio invito ad approfondire questo percorso spirituale e un bel numero di loro partirono per l’India. Forte interesse riscontrai in Messico, quando la numerosa platea del Congresso accolse la possibilità di sperimentare questa energia dopo la presentazione del mio intervento.
Ecco lo straordinario passo in avanti rispetto ed in linea con quanto Edward Bach ci ha insegnato: il Diksha ha la capacità di “risvegliare” il contatto con questa parte spesso nascosta in noi, risvegliando la percezione di un “qualcosa” che è del tutto inspiegabile, indescrivibile e indicibile.
Oggi, con la mia esperienza diretta, mi sento di dare al concetto di Dio, come inteso da Edward Bach, il ruolo di unica strada perché il nostro compito di Floriterapeuti possa fiorire ancor più con lo scopo di eliminare o ridurre la sofferenza umana. Bach ci ricorda che il solo peccato è quello di non ubbidire ai dettami della nostra natura divina.
Sono certa che potete tutti comprendere la gioia quando si vede realizzata e direttamente sperimentata una conoscenza o una verità magari appresa da un libro, e che poi si trasforma in realtà e consapevolezza interiore. È come quando qualcuno ti parla e descrive il dolce gusto del cioccolato e poi personalmente, e senza mediazioni, sperimenti direttamente il sapore di questo alimento. Fra te e il cioccolato non c’è più alcuno ostacolo, tu e lui siete un tutt’uno.
E questa è stata la mia esperienza in India.
Proprio questo aspetto di Unità e di non separazione è il lavoro di trasformazione che Amma e Bhagavan stanno attuando nelle nostre anime, e non è quel concetto basilare da cui Bach fa derivare il concetto di malattia?
Questo è il potente risultato che Bhagavan sta ottenendo con le decine di milioni di persone nel mondo che hanno sperimentato in loro il senso di Unità.
In questo modo, così inaspettato, naturale e senza sforzo, sono entrata in contatto con la Verità, senza filtri, senza messaggi riportati. Sri Amma e Bhagavan a questo proposito dicono che la verità, per quanto profonda, se non è fatta tua rimane comunque una non-verità”. In assenza di esperienze spirituali e mistiche vissute personalmente, ognuno rimane estraneo rispetto al proprio mondo interiore e si lascia assorbire dal mondo esteriore e dalle cose materiali.
La visione di Bhagavan è che la principale causa dei problemi umani è il forte senso di un io separato, il senso di separazione, la percezione di un io ed un non-io. Ci relazioniamo alle cose solo come io e non-io.
Stimati colleghi, quanto questa separazione causa conflitti fra paesi e religioni, nelle relazioni, nelle famiglie, sofferenza, disagi ed instabilità emozionali? Quale che sia la nostra ideologia o morale, se continuiamo a relazionarci con l’ambiente in questo modo, in termini di io e non-io, il conflitto sarà inevitabile.
Non otterremo molto cambiando il sistema, perché non ne è responsabile. Se cambiamo o miglioriamo il sistema – religioso, politico, economico o sociale - le cose potranno migliorare oppure no. Lavorare sul sistema è come lavorare sui sintomi, non sulla malattia. La vera causa, la radice del problema, è questo senso di sé separato. La nostra società si preoccupa tanto dei singoli: l’individuo è così forte che vuole sentirsi sano e salvo anche a spese degli altri, perché questa è la natura del suo Io inferiore. Solo cercando di modificare questo atteggiamento è possibile aspettarsi un mondo totalmente nuovo.
Il ruolo di Amma e Bhagavan è aiutarci a risolvere questo problema. Ed è lo scopo del Diksha, agire dentro di noi in questa direzione, attivare la capacità di essere in contatto con il Divino, nel senso più ampio del termine: il tutto, l'infinito, l'esistenza, l'essenza... Ma anche con il Dio specifico della propria religione: con Gesù o Buddha o Allah o Krishna, o qualsiasi altro.
È proprio questo senso di separazione che il diksha è capace di attenuare gradualmente in noi quando lo riceviamo; alla Oneness University in India dicono che il modo in cui sperimentiamo ciò che ci circonda, il modo in cui ci relazioniamo con noi stessi o con gli altri o le cose attorno a noi, il modo in cui rispondiamo alle situazioni, tutto dipende da come funziona il nostro cervello.
Il Diksha, il Diksha dell’Unità, si è rivelato un potente mezzo per attivare un particolare processo neurobiologico nel cervello; sono stati scritti tanti libri, ma su una cosa tutti sono d’accordo, sul fatto cioè che c’è ancora moltissimo che non sappiamo su di questo organo e sulla relazione tra la sua attività e la nostra esperienza soggettiva.
Oggi sono in corso studi in diverse Università che stanno indagando come questa energia riesca ad attivare un cambiamento neurobiologico del cervello, dove ci sono diversi “centri” responsabili di specifiche esperienze e percezioni sensoriali, quali le emozioni di gelosia, odio, paura, compassione, amore, gioia, separazione, connessione, creatività, apprendimento, e così via. Il Diksha è un’energia che attiva certi centri e ne disattiva altri, generando un cambiamento nella percezione della vita e nel modo di farne esperienza; gli studi attualmente in corso stanno indagando sull’evidenza scientifica di questi effetti.
Il Diksha viene trasmesso ponendo per circa un minuto le mani sulla testa di chi lo riceve, e le ricerche in corso stanno studiando gli effetti di eventuali riduzioni dell’attività neurologica dei lobi parietali e l’aumento di quella dei lobi frontali.
Bhagavan dice che appena si instaura un nuovo assetto nell’attività cerebrale, il senso di separazione comincia lentamente a scomparire perché vanno iniziando una serie di trasformazioni fisiologiche ed emozionali.
Questo fenomeno ha come effetto principale lo sviluppo dell’Unità. E cosa significa risvegliarsi all’Unità? Vuol dire riscoprire dentro di sé una verità profonda, il fatto che siamo tutti connessi non solo come esseri umani ma anche con tutto ciò che ci circonda, e godere della profonda pace, della gioia, e dell’amore che nascono da questo nuovo sentimento di connessione.
Tutti noi, a prescindere dal luogo in cui siamo nati e dalla cultura in cui siamo cresciuti, a prescindere dalla nostra storia e dagli eventi che l’hanno costellata, siamo chiamati come terapeuti a fare un percorso di consapevolezza, a lavorare su noi stessi per favorire la nostra crescita personale, per arrivare ad un risveglio di coscienza che ci consenta di sentire profondamente e totalmente questa unità.
Nei secoli, vari maestri hanno parlato a lungo di questo senso di Unità con il tutto; poi più recentemente Edward Bach ci ha detto che l’errore fondamentale che si può commettere è di permettere che si produca una dissociazione fra l’Anima e la personalità e fare del male agli altri, peccando così contro l’Unità. Queste sono le cause dei conflitti che possono portare ad ammalarsi.
In ognuno di noi l’Essere è uno ma le personalità sono molteplici (la parte efficiente e quella pigra, la parte instabile, quella egoista, quella dubbiosa, quella fanatica, quella gentile, quella aggressiva, quella silenziosa, quella estroversa, ecc...). Realizzare l’unità dentro di noi è un processo che porta dall’essere pienamente identificati con questo o quell’aspetto della personalità alla realizzazione della nostra natura originaria, che precedeva la formazione della personalità e che le sopravvive: è il nostro Sé superiore, il nucleo divino dell’uomo.
Man mano che l’individuo cresce perde le qualità essenziali tipiche della natura divina dell’Essere e che erano evidenti nel bambino. Tuttavia, e pur se in forma latente, queste qualità rimangono presenti in noi: il problema è che non ne abbiamo la percezione, perché siamo impegnati ad identificarci con il nostro corpo, con la nostra mente, e con i nostri pensieri.
E Bach proprio questo ci ricorda: che la nostra vera essenza è l’Anima, che è immortale, mentre il corpo in cui conduciamo la nostra esistenza è solo temporaneo, come un attrezzo che usiamo per compiere un lavoro.
La mente umana è abile nel giudicare, separare, distinguere, valutare, catalogare gli opposti. Il percorso inverso, che porta invece dalle molteplici personalità all’essere unico, avviene solo quando si prende consapevolezza del fatto che i due opposti sono parte della stessa realtà, un’unica realtà indivisa.
Di qui nasce l’accettazione di "ciò che è, così come è", che è Amore incondizionato per la Realtà.
Tale presa di coscienza non può essere raggiunta dall’ego/mente/personalità, che è capace di mettere in atto ogni tipo di strategia per rimanere in vita; si realizza invece naturalmente con il crescere della Presenza dentro di noi (il nostro Sé Superiore): c’è il risveglio all’evidenza che "io non sono questa o quella personalità". Nel momento in cui questo accade usciamo dalla prigione della mente, e inizia il processo di disidentificazione dai pensieri e dalla mente; possiamo accettare tutte le sue contraddizioni senza bisogno di reprimerle, di nasconderle, di manipolarle. Si realizza la comprensione di essere Uno dentro di sé. Si diventa consapevoli del proprio nucleo divino e lo si sa riconoscere negli altri; non ci si sente più divisi dall’Esistenza.
E il processo che conduce l’uomo dall’essere diviso al raggiungimento dell’Unità è oggi alla portata di tutti, grazie al Diksha.
Un pensiero che nel tempo mi ha accompagnato è stato: dedichiamo del tempo alla nostra salute, vista non solo come salute fisica ma come ce l’ha descritta Bach? E cioè che il vero stato di salute parte dalla presa di coscienza di quello che noi siamo: perfetti, figli di Dio. Che il modo migliore per mantenere armonia tra Anima e corpo sta nel ricercare uno stato di pace in cui è permesso all’ l’Anima di potersi manifestare avvalendosi della strumentalità del nostro corpo. Ma Bach ci ricorda che la vera pace interiore, quella dell’Anima, l’avremo solo avanzando spiritualmente.
Pertanto sono convinta che se tutti gli esseri umani hanno una propria missione divina da compiere, ancora di più noi, che siamo terapeuti, abbiamo il dovere di raggiungere quel livello di consapevolezza superiore che oggi si può finalmente ottenere attraverso il trasferimento di questa energia intelligente.
Un processo che, dopo un’introspezione personale e la presa di coscienza delle nostre ombre, ci porta a sperimentare la realtà così come è. Quando questo avviene scopriamo l’amore e la gioia incondizionati. Ci sentiamo collegati con ogni cosa e con ogni persona. Il “tu” diventa “tutti”. Viviamo così per l’umanità, e questo non è un concetto, o un’entità immaginaria, ma una condizione che già oggi migliaia di persone hanno raggiunto.
Bhagavan dice che quando sperimentiamo l’Unità dentro di noi, allora c’è un silenzio interiore che i fattori esterni non possono disturbare. La trasformazione radicale e la liberazione di cui parla Bhagavan non è nelle mani dell’essere umano e dei suoi sforzi, ma è connessa con un cambiamento della Coscienza:. la Grazia raggiunge il nostro cuore e ci permette di sperimentare la Presenza del Divino.
Le esperienze spirituali a cui il Diksha ci conduce aprono la porta alla coscienza Universale, ed alla percezione dell’uomo come Uno con Dio.
Negli stessi termini è proprio quello che scriveva all’inizio del nostro secolo Edward Bach, ed è quanto in questo momento storico Amma e Bhagavan ci hanno fatto sperimentare.
Durante un passato Congresso di Floriterapia descrissi dettagliatamente la “notte buia dell’anima” che siamo stati preparati ad affrontare durante il processo; l’esperienza che a tal proposito ho dovuto vedere rispecchiava quanto descrittoci da Edward Bach.
Delle emozioni sperimentate in India ho fatto tesoro, e cominciai a studiarle come sostegno alla Floriterapia; così fecero tanti terapeuti incontrati là e provenienti da varie parti del mondo.
Fu evidente molto presto che il Diksha interagiva sorprendentemente con il percorso terapeutico. Potrei dire che l’energia più pura, sottile e divina dell’Essenza Floreale trova la sua Grande Madre nell’energia del Diksha.
Negli anni sono venuta a conoscenza dei risultati ottenuti a Cuba nel campo della Floriterapia, così come dei numerosi studi di ricerca medica, e quando ho ricevuto l’invito a partecipare a questo Congresso ho ritenuto importante portarvi questa mia esperienza diretta. Ritengo che Cuba sia un Paese che può percepire ed essere aperto a conoscere una forma di guarigione energetica che si fonde perfettamente con l’energia delle Essenze Floreali. Lo ripeto, ciò che desidero farvi comprendere è uno strumento di importante interazione energetica e sinergica con i Fiori di Bach.
Dal punto di vista energetico quello che succede quando tramite le mani trasferiamo questa particolare forma di benedizione è che essa va ad attivare la Kundalini e i chakra; quando la kundalini sale, succede qualcosa di strano, tu esci dalla tua mente, o meglio quello che succede è che tu diventi un testimone della tua mente. È come se qualcuno che è stato intrappolato dentro fosse uscito fuori, e ciò che esce non è altro che la coscienza. La coscienza che prima rimaneva coinvolta con la mente ora viene fuori; e la sua qualità è quella di testimoniare, di osservare la mente: possiamo vedere i nostri pensieri che passano, come se fossimo sulla riva di un fiume a vederli fluire e fluttuare. Tutto è come prima, solo che adesso noi stiamo guardando, siamo presenti, e in questo stato c’è gioia incondizionata e amore, perché queste sono le caratteristiche specifiche della coscienza.
Tali esperienze sono molto utili nel lavoro con i Fiori di Bach, perché il paziente che assume le Essenze e che riceve contestualmente l’Energia del Diksha sente che i Fiori hanno una marcia in più e velocizzano il lavoro terapeutico, e questo è totalmente riscontrabile sia dal terapeuta che dal paziente.
Logicamente all’inizio è stato uno sperimentare. Mi sono chiesta: se abbiamo avuto la fortuna di incontrare questo percorso, così coerente con gli insegnamenti di Edward Bach; se io, oltre ad essere stata toccata da una guarigione fisica, ho percepito un’espansione dello stato di consapevolezza che mi ha aiutato nella vita di tutti giorni, mettendomi contemporaneamente in una condizione ancora maggiore di empatia con i pazienti, che tipo di risultati si sarebbero potuti avere se il paziente stesso poteva ricevere tale Energia?
In questa direzione coloro che erano pronti e desiderosi di sperimentarla cominciarono ad avere esperienza di pace, gioia profonda, assenza di pensieri, altri provavano molto amore per la famiglia.
Le esperienze variano da persona a persona, ma qualcosa le accomuna tutte: quello che arriva con il Diksha è ciò che è più necessario per la persona in quel momento. Il Diksha è una specie di intelligenza che arriva esattamente nel modo in cui l’hai voluta, o meglio, in cui ne hai bisogno.
E proprio quest’ultima qualità è stata per me determinante nella decisione di offrire l’esperienza del Diksha ai pazienti. Ho sempre visto nell’energia delle Essenze Floreali l’Intelligenza della Natura, e vedevo nell’energia del Diksha la capacità di ripristinare un contatto armonico con la nostra reale fonte di energia, e di far emergere la “forza risanatrice divina”. Entrambe operavano sulla disarmonia e negli stati di squilibrio energetico con straordinaria sinergia. Inoltre notavo che il Diksha affinava i nostri sensi, un po’ come vedere le cose in modo nuovo, come fanno i bambini. Molte persone guardano senza vedere, ascoltano senza udire, toccano senza percepire, mangiano senza gustare, parlano senza pensare, inalano senza percepire gli odori.
Risvegliando tali sensi il Diksha apre il nostro occhio interiore, rivolge la nostra attenzione al momento presente, a vivere il qui e ora, a gustare ogni istante come unico e irripetibile; le essenze floreali, incontrando un terreno energetico aperto lavorano meravigliosamente nel ristabilire i disagi emozionali da trattare.
Voglio dirvi qualcosa che accomuna coloro che assumono le Essenze Floreali e ricevono regolarmente il Diksha. Primo fra tutti la volontà, l’approccio alla cura, nel senso che essi diventano più propositivi, hanno chiaro l’intento di quello che vogliono raggiungere e di voler stare meglio; il viso a volte si trasforma e assume una luce che mi palesa un cambiamento interiore. Anche colui che conduce una vita quotidiana superficiale, e di cui non è contento, comincia a percepire che dentro di sé ha delle potenzialità di cuore e spirituali che non pensava di possedere; e ciò indipendentemente dai Fiori di Bach con cui si sta lavorando. I familiari notano un atteggiamento più sereno e spesso chiedono da cosa dipenda; questo perché grazie al Diksha le cariche emotive -qualunque esse siano - si riducono, e pongono il paziente in uno stato più alto di coscienza, mettendolo in condizione di capire che non possiamo cambiare noi stessi se prima non si riesce ad accettarci interiormente e completamente.
Trovo quest’ultimo concetto fondamentale, ed ogni volta penso alle parole del mio Maestro Eduardo Grecco, che ritengo un vero Risvegliato: sono stata addestrata da lui sull’imparare l’arte di fare esperienza, perché quando impariamo a fare pienamente esperienza di noi stessi, accettandoci con tutte le nostre emozioni, pensieri e sentimenti, allora avviene una profonda guarigione nel nostro corpo, nella nostra mente e nella nostra coscienza, e l’esperienza della sofferenza nella nostra realtà di tutti i giorni cambia in un’esperienza di pace e gioia.
Tale è il significato che in questa sede voglio trasmettere: il Diksha opera come un acceleratore della cura perché apre nuovi livelli di consapevolezza, e lavorando come abbiamo detto in maniera intelligente nella direzione verso cui la persona ha bisogno, mette su un piatto d’argento le essenze floreali. Il paziente arriva ad avere una percezione differente della sua sofferenza, comincia a viverla con un altro livello di coscienza, e i fiori lo aiutano più velocemente a guarire dallo stato emozionale non equilibrato.
Un altro aspetto interessante è il silenzio interiore che si crea lentamente; sia che la cura comprenda o no l’assunzione di fiori, come White Chestnut, che lavorano nell’attenuare l’attività della mente, il silenzio diventa un elemento sempre presente. È nei casi come questo che prendo coscienza dell’aiuto interiore del Diksha; infatti anche il paziente che non sentiva l’esigenza di “fermare” i pensieri si accorge di un miglioramento su questo piano. In più, cosa per me interessante, comincia a sentire l’esigenza di alimentare il silenzio interiore sperimentato. Il silenzio è per lo spirito ciò che il cibo è per il corpo, ed è molto importante perché il vero silenzio, senza pensieri, da solo può guarire i mali dell’anima e del corpo, e creare un luogo dove possiamo rigenerarci, senza più paure, e dove c’è pace.
La sensazione piacevole di silenzio dà al paziente la spinta a proseguire con maggiore consapevolezza nella terapia, in quanto riscontra un generale beneficio proveniente dalle essenze floreali e “qualche altra cosa” che non riesce bene a spiegare. Come quando dice “i Fiori mi hanno tanto aiutato nei disturbi di cui soffrivo, ma ora sento di avere una sorta di protezione in più”. Per fare una metafora potrei dire che i Fiori di Bach sono il rimedio naturale per portarci alla guarigione, il Diksha un rimedio aggiuntivo che ha in sé solo effetti collaterali positivi, e che interagisce nelle maglie del corpo fisico, mentale ed emozionale del soggetto.
Altri sentono di poter attingere ad una forza che trovano di volta in volta dentro di loro, nei momenti bui o difficili, o durante una stasi nella terapia. Questo contesto ci aiuta molto: frequentemente la sofferenza psicologica diminuisce rapidamente se diamo il Diksha, e questa energia, come una spazzola che porta via parte di lacrime, ferite e tristezza, apre la porta ai Fiori i quali saranno anch’essi più veloci nel loro lavoro.
Credo che alcuni di voi abbiano riscontrato tanti casi in cui i pazienti abbandonano la terapia, o perché non vedono subito risultati, o non hanno la costanza necessaria; a ciò viene in aiuto il supporto del Diksha che, come dicevo prima, mette le persone in condizione di andare avanti per una strada di guarigione. E noi terapeuti, se siamo sostenuti dall’empatia e poi dal lavoro interiore svolto in questi Corsi in India, mi sembra riusciamo ad avere una relazione ancora più forte con loro.
Desidero ora dedicare uno spazio per raccontarvi alcune interessanti esperienze riferite da quei pazienti che hanno cominciato a ricevere regolarmente il Diksha insieme alle Essenze Floreali; e da altri che hanno approfondito il percorso spirituale diventando a loro volta Diksha Giver (coloro che possono trasferire il Diksha). E poi il cambiamento di percezione sperimentato da colleghi Floriterapeuti che hanno intrapreso questo viaggio in India per dimostrarvi il valore aggiunto che va a totale beneficio delle nostre Anime e di coloro che si rivolgono a noi per un ascolto terapeutico.
Cerco di sintetizzarvi quanto mi disse un giovane paziente: “Con la terapia dei fiori le conquiste raggiunte sono state tante ed evidenti, ho risolto e sciolto molti dei nodi legati agli affetti familiari, al coraggio, alla paura, alla rabbia e alla chiarezza. Queste conquiste incredibili, aggiunte al Diksha, hanno assunto una concretezza ed una chiarezza dentro di me che mi hanno reso sereno e obiettivo; il Diksha ha aperto un canale, un terreno fertile dove i fiori hanno lavorato secondo il loro intento. La strada spianata dal Diksha, lavorando sull'amore e sul mio cuore, ha reso possibile il raggiungimento di risultati che ogni giorno riconosco e che mi rendono la vita più semplice, meno contorta. Oggi quando mi guardo attorno e dentro di me, tutto mi appare più chiaro, più reale, più mio. Quindi, la gioia di avere questa serenità nel cuore, di amare più semplicemente grazie al Diksha, sentire ogni giorno che i fiori lavorano in me e scoprirlo quotidianamente, diventa un tutt'uno”. Questo ragazzo continuò dicendomi una frase illuminante: “I fiori lavorano per quello che io sono, dentro di me, il Diksha mi suggerisce le parole, mi illumina la strada da prendere, mi dà la chiarezza. A volte sento una grande distanza con il mondo che mi circonda, sento la mia diversità, la mia identità forse, ma non più la solitudine nel mio cuore”.
Questo paziente, entusiasta del percorso spirituale con noi, è poi diventato Diksha Giver. E queste le sue esperienze: “Passando da receiver a Diksha Giver, ho provato la grande gioia di poter aiutare gli altri, di poter finalmente fare qualcosa per aiutare tutti, amici, familiari, conoscenti, potendo aprir loro il mio cuore senza riserve e senza paura, solo amore, e ciò mi riempie di gioia. Il sentimento puro contenuto nella parola Amore è diventato più adulto, più reale, non so come dire, più totale. Mi sento più adulto, questa è la sensazione vera.
Una ragazza, appena diventata Diksha Giver mi scrisse: “Sì, è vero quel che dice Bhagavan riguardo l’armonia che purtroppo non sempre pervade le nostre giornate. Il passo avanti per me sarà non disturbare più di tanto il destino e il Diksha mi aiuterà, specie sapendo che posso donare il mio amore a chi lo accoglie con grande disponibilità d'animo, come accade tra noi. Per me è veramente importante dare la mia forza interiore, il mio bene, a chi ne ha bisogno per crescere, per sentirsi parte di questo mondo che ci ama tanto ma che noi spesso erroneamente consideriamo come una scatola senz'anima. Mi rendo sempre più conto, ma ne ero conscia fin da quando ho ricevuto il Diksha, che gli effetti di questa Energia sono eccezionali, e portano verso di noi il Bene assoluto, quasi magicamente. Sono sempre più contenta di avere ricevuto questo Dono, perché ho avuto un'ulteriore conferma di quanto questa energia intelligente possa sortire effetti così meravigliosi e amorosi”.
La relazione che si realizza tra il terapeuta diksha giver con un paziente anche lui diksha giver assume più contorni tutti interessanti e divertenti: quando ci incontriamo a studio per il colloquio di floriterapia e quando insieme al gruppo ci ritroviamo meditando insieme, scambiandoci l’Energia.
Il paziente che riceve il diksha comincia ad assumere espressioni verbali e una terminologia che potrei dire “energetica”, cioè in linea con il potere energetico di tale percorso spirituale; ciò lo porta ad un livello di consapevolezza e conoscenza differente che mi aiuta molto, in quanto la relazione si muove su un piano ben più strutturato. È come se il paziente diventasse automaticamente “colto” nel campo energetico e siccome la Floriterapia è una terapia energetica, tutto si incastra molto bene.
Ancora più felice e coinvolgente è l’esperienza di chi come me Floriterapeuta ha intrapreso questo viaggio spirituale; è stato automatico il venire a contatto con questa Energia intelligente, cominciare a riceverla e avvicinarsi da dentro per diventare trasferitori del Diksha. Una mia cara collega, dopo essere diventata Diksha Giver, vede nel suo cuore Le Essenze Floreali come “matite colorate del Divino”. E dice “Quello che sento è maggiore intuizione, comprensione profonda, capacità di pormi in modo efficace nella relazione con l’altro sia esso essere umano, animale e vegetale. Un senso profondo di Unità con tutto ciò che insieme con me coesiste e la percezione chiara della Presenza del Divino nelle situazioni che la vita mi offre, sebbene alcune siano molto oscure. Tutto ciò ha reso oggi il processo floreale che intraprendo con i pazienti più celere, più profondo e soprattutto significativo per le nostre vite”.
Tutti noi terapeuti notiamo una notevole accelerazione del percorso terapeutico; la paura, che è così variegata nelle terapie, come per magia si attenua, il coraggio e l’amore aumentano; qualcosa che sembrava non potesse proprio sbloccarsi, improvvisamente si muove, qualche altra cosa che non poteva emergere, viene a galla.
Per quanto riguarda la mia esperienza professionale l’incontro con il paziente è cambiato, lo stato che sperimento è uno stato di maggiore rilassatezza, e la possibilità di entrare in risonanza tale che anche le essenze floreali assumono un ruolo che sento ancor più energetico, trovandomi in maggiore sintonia con esse. Il tesoro di crescita che sento in me si trasforma in un dialogo di Amore e Luce con chi mi relaziono, e questo diventa il primo passo nella via di guarigione; il secondo sono i Fiori; il terzo è il Diksha che fa da collante ed apre la strada per un cambiamento della coscienza.
Abbiamo studiato libri, abbiamo letto molto sui temi di competenza del nostro lavoro, ma nessun insegnamento sarà tanto valido quanto la capacità di coltivare l’ascolto e l’osservazione dentro noi stessi.
Noi siamo abituati all’idea che diventare bravi terapeuti significhi anzitutto essere in grado di maneggiare le Essenze Floreali nella maniera più ampia e più accurata che sia possibile. E questo è probabilmente lo scopo principale di questi incontri.
Tuttavia dobbiamo renderci conto che ragionando in termini squisitamente quantomeccanici è il terapeuta il primo fattore di cura. Pertanto, quando leggiamo la vita dei grandi del passato cui siamo soliti fare riferimento come Bach, Hahnemann, Paracelso e Ippocrate stesso per rimanere nel campo della medicina, questi erano essenzialmente degli uomini liberi - o in altri termini dei risvegliati - che nella loro vita di tutti i giorni scelsero di offrire loro stessi alla gente attraverso una terapia.
Ma va capito anzitutto, ed è veramente importante ricordarlo in questa epoca storica, che loro stessi, attraverso la loro crescita e trasformazione interiore, erano diventati una via di guarigione, dove i rimedi e le essenze rappresentavano il mezzo.
La nostra evoluzione è sempre in movimento, e tutto quello che ci accade è un’opportunità per evolvere, può apparirci un ostacolo ma è un punto d’appoggio. Penso veramente che noi Terapeuti siamo molto fortunati, io mi sento quotidianamente dentro un processo che mi porta ad affrontare sfide, difficoltà, gioie, ed emozioni con la consapevolezza di questo percorso spirituale intrapreso da anni, dove il cuore ha una funzione centrale.
Una visione che ancora più mi unisce a quella di Eduardo Grecco per il quale una delle cose più importanti per l’anima è l’esperienza e non la conoscenza.
Tutta l’opera di Edward Bach ruota su due principi: la Luce e l’Amore.
È augurabile fornire, a chi voglia diventare un vero terapeuta, il mezzo per contattare questa Luce e questo Amore per poter così giungere ad una reale trasformazione interiore; sono certa che i Floriterapeuti che sceglieranno di contattare questa energia potranno ottenere risultati molto interessanti con i propri pazienti.
Dobbiamo essere sempre più dei canali aperti alle energie illimitate della nostra anima, e in questo senso, nei tempi attuali, l’energia del diksha è la soluzione più potente.