Quando Angela mi ha chiesto di scrivere l’articolo sul seminario di Susana Veilati ho pensato: come si fa a scrivere su qualcosa che è semplicemente avvenuto? E sì perché questo è stato davvero un seminario diverso dagli altri, costruito dalla docente e da noi insieme a lei, in cui ci siamo messe in gioco, divertite e anche commosse e senza quasi accorgercene abbiamo cambiato veramente qualcosa di noi e del nostro modo di lavorare.
Che fosse un seminario “speciale” si capisce subito, appena si entra nell’aula: siamo tutte in cerchio insieme alla docente e “costrette” a partecipare, ognuna di noi si presenta con il suo bagaglio professionale e umano diversissimo l’uno dall’altro ma accomunate dal desiderio di fare la floriterapia a un livello sempre più alto.
Fin dall’inizio Susana ci dà degli
input importantissimi, pone l’accento sulla nostra capacità
di saper ascoltare, centrati, con le orecchie e con il cuore allineati,
aperti, senza pregiudizi e senza schemi e con tanta curiosità.
e attenzione: “Bisogna vedere il paziente e non il suo problema,
come un campo in cui estendersi e questo dà molta libertà;
non ci sono conclusioni alle quali dobbiamo giungere, ma una permanente
scoperta dell’altro”. Ci invita a testare la nostra
capacità di ascolto durante tutto il seminario, ci invita
al silenzio per aumentare la nostra attenzione e la nostra capacità
di ascoltare. Silenzio e pazienza come pratica terapeutica.
Ci parla della nostra professione dandogli un’identità:
cosa fare quando un paziente disdice la seduta all’ultimo
momento, fargliela pagare lo stesso o no? quali sono i limiti della
nostra professione: siamo in grado con i fiori di risolvere delle
depressioni gravi o di trattare pazienti border-line,? Dopo quanti
giorni è meglio vedere il paziente per fare un buon percorso
floriterapico: dopo una settimana, quindici giorni o un mese?
Nonostante la difficoltà di parlare in un’altra
lingua, grazie alla sapiente traduzione di Gabriella, il dibattito
si fa incalzante, Susanna non vuole perdere nulla di quello che
diciamo, vuole sapere tutto anche i lapsus o le battute che ci scambiamo
tra di noi e ogni cosa è uno spunto che ci riporta al nostro
rapporto con il paziente. “perché usi il termine soffocante
per descrivere il legame tra la tua paziente e il marito? È
un termine che usi tu o lo ha usato la tua paziente? Se lo usi tu
perché stai usando questo termine? Dov’è il
tuo problema e dove quello della paziente? In quale punto colludi
con lei? ….” E via di seguito.. e allora pian piano
capisci che nella terapia il tuo limite è quello che non
permette l’evoluzione del paziente e finché non distacchi
il tuo problema dal suo non gli consenti di evolversi. Ed è
allora che ci parla del narcisismo terapeutico, cioè di quel
momento in cui confluiamo emotivamente con il paziente e non lo
vediamo più perché in realtà stiamo confondendo
la sua storia con la nostra e stiamo pensando solo a noi.
Tutto ciò Susana ce lo fa notare a mano a mano che le sottoponiamo
i nostri casi clinici, con leggerezza e soprattutto con una puntualità
sconcertante. Quando qualcuno di noi parla per sottoporre un caso
ci fa notare come lo raccontiamo e il fiore che ci corrisponde in
quel momento.
Alla fine dei due giorni siamo tutte soddisfatte e con la sensazione
di esserci veramente arricchite e la speranza che Susanna torni
al più presto! A proposito: dove erano gli altri floriterapeuti?
E sì perché non si capisce come mai eravamo solo in
dodici ……
Vittoria